Prima.
Mentre la voce al microfono scandiva ripetutamente le stesse tre sillabe, là negli ultimi banchi, i due neoeletti parlottavano fra loro.
– Io dico che possiamo farcela.
– Certo che ce la facciamo.
– Non è ancora detto…
– Ma manca pochissimo al 50%!
– Sì, ma questa è solo la terza votazione, per farcela dobbiamo arrivare a due terzi dei votanti.
– E quando se la sono inventata ‘sta cazzata?
– Credo che sia sempre stato così, è scritto nella costituzione.
– Sarà. A me sembra un modo barbaro, se avessimo preso per buona la nostra votazione on line, che è autenticamente popolare, a quest’ora ce la saremmo già tolta e potremmo occuparci delle commissioni.
– Per carità, sarebbe un continuo urlo al broglio… dopo la figuraccia dell’attacco hacker, poi.
In quel momento la voce al microfono introdusse tre nuove sillabe: “dalema”, disse.
– D’Alema? – il neoletto più giovane si tirò su di colpo e, mani a megafono davanti alla bocca, prese a muggire: – Buuu! Buuu!
Il più anziano dei due lo tirò giù brutalmente ammonendolo:
– Fai il bravino, dai!
– Uff! Mi monta una rabbia…
– Lo so, lo so – lo rabbonì il più anziano – ma questa volta sono spacciati, finiti. Forse non a questa votazione, ma alla prossima siamo sicuri, lo eleggiamo noi il nuovo presidente.
– A che punto siamo? Quanti voti ha preso?
– Cinquecentonovantadue. Ne mancano meno di cento.
– Ma quello che c’ha da fissare?
– Chi?
– Quello! Lui, insomma…
Un uomo in doppiopetto, capelli tirati indietro li osservava e sorrideva, poi, intercettato il loro sguardo partì deciso. Risalì i banchi e gli si piazzò davanti, porgendo loro una mano ben curata:
– Bravi – disse – Bene – chiudendo le labbra a culo di gallina, come fanno i milanesi quando vogliono essere cordiali.
Nessuno dei due neoeletti si mosse, guardavano impietriti la sua mano.
– Avete fatto una bella scelta, una scelta che è piaciuta a noi e che piacerà agli italiani. Mi chiedo solo come abbia potuto non pensarci io. Quelli di SEL, credo per ragioni cromatiche, ne sono stati entusiasti, e quando supereranno il senso di appartenenza al partito, piacerà anche a tutti i piddini. Del resto ci siamo: mancano trenta voti al quorum.
La voce monotona continuava a ripetere ipnoticamente sempre le stesse tre sillabe.
– Noi – disse con voce tremante il più anziano dei neoeletti – … una personalità… onesta… dalla carriera specchiata…
– Certo, certo.
– … che si è sempre battuta contro i soprusi…
– Certo, certo.
– … è il popolo che si è espresso… – continuò sempre più nel pallone il neoeletto – noi siamo diopendenti del popolo italiano… cittadini…
– Certo, come me. Grazie, questo vi dovevo, un grazie e un bravi.
Poi ci esplose un applauso, il mantra di tre sillabe fu sommerso dal fracasso dei battimani e degli strepiti giubilanti.
Quorum raggiunto.
Presidente eletto.
Dopo.
La donna fece trillare il campanello, poi schiaritasi la voce, disse solennemente:
– La seduta è aperta. Invito il Presidente della Repubblica a prestare giuramento a norma dell’articolo 91 della costituzione.
A questo punto un vocione cantilenò nel microfono:
– Giuro di essere fedele alla repubblica e di osservarne lealmente la costituzione, mea.
Scoccò un applauso sentito, commosso. Poi la donna cercò di guadagnare la poltrona alla sua destra, giusto mentre il nuovo Presidente, col suo pachidermico corpaccione, cercava di raggiungere lo scranno centrale. Non appena si furono districati, la donna prese il microfono e disse:
– Ora il Presidente della Repubblica rivolgerà il suo messaggio al parlamento. Invito i membri dell’assemblea a prendere posto.
Il presidente mostrò all’aula il suo eterno sorriso e poi agitando le braccia esordì:
– Belandi ragassi, mi state tutti simpatici!