Il 6 maggio scorso, ai microfoni di Stakka stakka, trasmissione di Radio Black Out, Claudio di Nautilus ci parla di Critica al transumanesimo. Mi segnalano il podcast dell’intervista e lo ascolto, soprattutto perché la presentazione sulla pagina di Librincontro mi aveva già fatto sollevare quasi tutte le sopracciglia disponibili, fa così:
“La tecnologia non è in sé né buona né cattiva ma dipende dall’uso che se ne fa”; una falsità questa che vorrebbe legittimare gli esiti positivi o giustificare quelli negativi. Ma essa non è affatto rappresentata solo dagli strumenti che produce, ma è piuttosto una forma mentis, un modo di intendere il mondo e di trasformare il vivente in modo artificiale piuttosto che naturale o non trasformarlo per nulla. Allora potrebbe essere che la genetica clinica, la medicina e farmacologia molecolare, la soluzione tecnologica alle questioni di genere, il veganesimo, la lotta alla vecchiaia, gli OGM, non siano altro che prodromi di modificazioni e trasformazioni ben più radicali per i viventi.
Più che una presentazione del libro, una riflessione aperta sull’argomento a cui saranno presenti, tra gli altri, i redattori della rivista L’urlo della terra e della trasmissione su radio blackout Macerie su macerie.
Sono perplessa. Non mi convincono le premesse. E mi allarmano le conseguenze. Un guazzabuglio di domande si affolla nella testa. Che c’entra il veganesimo, per dire?
Provo a chiedermi cosa si intenda per “soluzione tecnologica ai problemi di genere” e mi viene da pensare alla transizione. Ma forse sono io che sono fissata.
Vado a vedermi cos’è L’urlo della terra e l’indice del numero 5 della rivista non mi rasserena. Fra le altre cose, scopro che esisterebbero “lotte di donne reali” che si contrappongono a “metafore di cyborg”, che il grosso problema dell’umanità sembra essere la riproduzione artificiale dell’umano e che, da apprendista militante transfemminista queer, probabilmente dovrei rivedere il mio posizionamento riguardo alla tecnoscienza. Non ho modo di leggere gli articoli per il momento, mi concentro sull’ascolto della trasmissione.
A un certo punto arrivano degli sms che chiedono conto della posizione di Claudio su aborto e transizioni di genere. La sua risposta, mi sono presa la briga di trascriverla, è questa [dal minuto 44,05]:
«Non è facile rispondere a questa domanda, oggettivamente. Quelle che sono le necessità di ognuno di noi, siamo stati abituati da 400/500 anni a risolverle attraverso la tecnologia. E ci siamo tutti dentro. Io non mi escludo. Io magari fra 10 anni mi devo mettere il pace-maker che mi lascia in vita. La riflessione secondo me, dovrebbe un po’ trascendere da quello che è l’aspetto individuale e le necessità delle singole persone, ma cercare di vederlo un po’ più allargato, o perlomeno, cercare di capire che qualunque tipo di tecnologia che noi usiamo, positiva per noi stessi, assolutamente, è innegabile… Non solo positiva che c’è la necessità, ma anche positiva perché può essere una scelta… non la chiamerei più né necessità, né bisogno, ma un’espressione della libertà… allora, questo ci sta, perché quanti usiamo questo metodo, usiamo queste cose, però è capire che la tecnologia non è neutra per nessuno e che lei che ci sta portando… lei intesa la Tecnologia con la T maiuscola: modello di pensiero, modello di rapporti, ed è lei che sta distruggendo tutto, ma sta distruggendo anche noi, insieme.
[…] Io credo che sia anche molto legato al modello. Le questioni di genere, se sono legate a un modello di tipo tecnologico, vuol dire che sono legate a un modello della nostra società, ma altre culture hanno risolto le questioni di genere in altro modo, semplicemente in modo diverso. È chiaro che noi inseriti in questo contesto sociale, in questa mentalità scientifica e tecnologica non possiamo vedere altro che una soluzione attraverso la tecnologia, ma non è l’unica, cioè altri modelli culturali hanno sviluppato la problematica del diverso in un altro modo. Chiaro che noi siamo incastrati in questo modo e infatti nessuno vuole demonizzare né le motivazioni per cui ci sono problemi legati al trans e cose di questo genere. Queste sono cose che, per chi vive la problematica, sono assolutamente da risolvere, essenziali, però è più in generale che bisognerebbe riuscire a comprendere che forse un salto di civiltà…
Molto spesso i neoluddisti e primitivisti sono visti come veramente degli utopisti scatenati, però il loro è proprio un tentativo di uscire fuori da queste mentalità, alla ricerca di altri modelli culturali. Loro parlano di un altro modo di concepire la civiltà e quindi siamo ben oltre al cercare di rabberciare un pochettino le cose. Questo è un tema che è sicuramente in super discussione in questo periodo e certezze, io in particolare, nessuno ne ha».
Ho trovato passaggi problematici in tutta la trasmissione. Sarà che in linea di massima io non mi preoccupo degli incubi di Heidegger, anzi reputo non ne abbia avuti abbastanza, trovo ottundenti i discorsi su Scienza e Tecnologia (le maiuscole, mi raccomando) come fossero entità uniche e compatte, e non credo al caro vecchio mito del buon tempo andato in cui vivevamo in armonia con la Natura (la mettiamo anche qua?) e i treni arrivavano in orario. Ad averne il tempo bisognerebbe smontare tutto pezzo per pezzo. E poi io sono una scassacazzo e mi divertirebbe un casino attaccarmi a tutti gli sfondoni (cioè, ma davvero è solo 400-500 anni che gli esseri umani usano la tecnologia per risolvere i loro problemi? Per dire, sabato ho visitato con mia figlia il museo egizio, tutte quelle cosette carine esposte sono tutte dovute all’erosione naturale?), ma ho poco tempo e oggi sento l’urgenza di concentrarmi brevemente su altri aspetti.
Con buona pace di Claudio, non mi riesce di “transcendere quello che è l’aspetto individuale delle cose”, mentre ogni giorno con le compagne, i compagni e lu compagnu mi sforzo di “vedere un po’ più allargato”.
Per esempio, se provo a dilatare la visuale mi viene difficile pensare che è la Tecnologia (sempre T maiuscola, neh) che “sta distruggendo tutto”. La Tecnologia è solo un mezzo. Punto più volentieri il dito sui monopoli del sapere, la proprietà privata dei mezzi di produzione, l’accaparramento delle risorse e dei capitali, lo sfruttamento sistematico degli esseri e dei territori. Il capitalismo è il sistema più violento, prevaricatore, egoista, cieco e imprevidente mai apparso su questa terra, si appropria quindi anche delle tecnologie e le utilizza per il suo unico scopo, il profitto. Mi rendo conto che non sono affatto a mio agio con il concetto di Natura, anche il capitalismo dice di rispettare la Natura. Preferisco che le mie lotte si schierino più concretamente a difesa degli esseri viventi e dei loro corpi e delle loro esistenze, questi sì, sacrificati ogni giorno sull’altare del profitto. Mi sento più vicina a chi scaglia frecce contro il capitalismo. E una freccia, pure quella fatta a mano con punta d’osso e corpo in legno, è frutto di una tecnologia. Tutto questo scagliarsi contro la Tecnologia mi pare il lamento della persona accoltellata che se la prende con il coltello e non con l’accoltellatore.
In quest’ottica, da persona transgender, non vedo le questioni di genere legate a un “modello di tipo tecnologico”, ma a una questione di tipo eteropatriarcale. Mi pare di capire che non sia così per Claudio e i suoi interlocutori. Claudio non vuole “demonizzare i problemi legati al trans”, ma ci fa presente che siamo nell’ambito della “problematica del diverso”, ovvero qualcosa che già di per sé si discosta dalla Natura, intesa come binaria, immutata, immutabile. È la lettura eteropatriarcale delle questioni in fatto di sesso e genere. Né più, né meno.
In altre culture, ci viene detto – culture implicitamente più vicine alla natura, quelle dei buoni selvaggi – tali questioni, le “diversità”, sono state risolte “semplicemente in modo diverso”. Non ne cita nemmeno una, non abbiamo quindi elementi per capire a quali culture si riferisca. Gli vengo incontro raccontando ciò che ho visto. Nei miei soggiorni in India ho incontrato persone hijra. In quel caso, sicuramente, come dice Claudio, vivono una vita differente rispetto a quella delle persone transgender che vivono in occidente, ma dovendo scegliere un avverbio mai mi verrebbe in mente semplicemente. Inoltre, usano almeno due tecnologie: uno, il vestiario e due la rasatura del volto. Così come pare si facesse alle nostre longitudini nel medio evo. E sì, vestiti e rasoi sono tecnologie. Ma la faccenda davvero è risolta?
Mi preme informare Claudio e tutta la crew di Stakka stakka che io personalmente in un mondo queer, senza la pressione eteropatriarcale, probabilmente mi rispiarmerei ‘sta sbatta degli ormoni, del laser, eccetera. È l’imposizione del genere, il verdetto, la sentenza pronunciata alla nascita il mio problema, le implicazioni sociali e relazionali di appartenere a un genere mi causano sofferenza.
Non è solo per una “questione di libertà” che ho avviato il percorso di transizione. Ho scelto di accollarmi gli sguardi, i commenti, gli insulti, lo stigma sociale per poter vivere. Il mio percorso medico ha lo stesso valore non solo degli occhiali che Claudio ammette di portare, ma anche del pace-maker che mette in conto di farsi impiantare: sebbene me la complichi un po’, mi salva la vita. Per me è una necessità, è un bisogno primario. E mentre cerco di proporre diversi immaginri, conflittuali, provo a “rabberciare un po’ le cose”, il mio corpo, la mia esistenza.
Se non parliamo di dominio, di chi ha il potere di decidere sui corpi e sulle esistenze degli altri esseri, di autodeterminazione e di condivisione delle pratiche e dei saperi, se non mettiamo in discussione i privilegi che operano lungo le trincee del genere, della razza e della classe di che stiamo parlando?
Oh, comunque Claudio una-parola-una sull’aborto non l’ha spesa.
Riflessione sensata e utile, la tua. Poi una-parola-una sull’aborto non l’ha spesa perché non sta dicendo “no a qualsiasi tecnologia, no alla libertà della persona, no, no, no a tutto”, ma sta invitando con determinazione a discutere, nel movimento che si vuole libertario ecc., di tutti questi temi, e sono certa che il confronto con te farebbe/farà, se vai alla presentazione, crescere tutti, ovvero entrambi voi e chi vi ascolta ????
Perchè avrebbe dovuto parlare di aborto? E non di qualsiasi altra cosa?
banalmente, perché gli è stato chiesto di parlare di aborto
Ciao, sono Adele.
Inizierei dalla fine del tuo scritto e dico: meno male che questo Claudio non ha parlato di aborto… perché ho sentito che costoro sono contro l’aborto in assoluto (non so se tutti o alcune ‘correnti’).
Continuo dicendo che hai ben espresso ciò che sento riguardo a codesto… come chiamarlo?… pensiero (?). Ne ho appena sentito parlare quindi non avevo ancora messo in ordine le opinioni e le riflessioni, cosa che hai fatto tu per me.
Comunque ancora non sono pronta a scriverne e ancora non ho formato un contro-pensiero personale completo, coerente e competente al riguardo.
Per ora ho solo una visione…. vedo … vedo …. una riunione di scassacazzi di professione, per la prevalanza maschi etero, sussiegosi, anarcosinostrosi, con la puzza sotto al naso, privi di sense of humor e al momento senza molto da fare …. vedo che pensano e parlano e ad un certo punto uno domanda: – cosa possiamo inventarci di inutile, rompicoglioni e autoreferenziale, totalmente al di fuori della lotta di classe e al di fuori delle lotte concrete in generale… un argomento che, tipo durante una cena, impegni i compagni in ore di discussione sterile in cui noi possiamo fare i puntigliosi e gli offesi senza fondamento e che comunque non serva a una cippa di niente se non a fare venire il latte alle ginocchia e che (mi raccomando) dia assai fastidio a qualche categoria di compagni cui noi non apparteniamo (cosa che, peraltro, facciamo a cadenze cicliche su varie quastioni)???
Naturalmente sto scherzando… spero che chi legge non la prenda sul serio.