Troia Brucia. Un articolo di Wolf Bukowski sulla deriva sbirresca

disegno di Martina Di Gennaro

Nel giorno stesso in cui entrava in vigore, dalla mia prospettiva di persone trans, uscivo con un aneddoto ancora fumante sul green pass . Tuttavia, fin da subito e con i miei mezzi, cercavo di allargare il discorso e dare un giudizio globale sul dispositivo:

Ora, quella di istituire il green pass è ovviamente una decisione di merda. Una classe dirigente che in diciotto mesi non è stata in grado di prendere un solo provvedimento nella direzione dell’ampliamento dell’assistenza sanitaria né della protezione delle fasce più deboli, copre le sue enormi responsabilità impedendo alle persone di andare a lavorare, studiare, viaggiare, frequentare i luoghi della cultura, dell’intrattenimento e della socialità. Gli ultimi due governi si sono distinti – la cosa purtroppo non sorprende – per il cinismo e lo zelo con i quali hanno continuato a fare gli interessi del grande capitale, di Confindustria, e seguitato ad alimentare la paranoia, a rendere capillare la cultura del controllo e a diffondere il virus della sbirraggine. La pandemia, per qualcuno, si è rivelata un grandissimo affare.

In questi  tre mesi, ogni volta che ne ho avute le energie, ho messo su teatrini e piantato casini a ogni richiesta di esibire il lasciapassare. Ci ho guadagnato qualche litigata, risposte aggressive o piccate ma, in qualche caso, è capitato che la persona incaricata omettesse di scannerizzarmi il maledetto QR code. Nulla di rivoluzionario da parte mia, me ne rendo conto, l’obiettivo non sono ovviamente gli esecutori materiali del controllo, ma i loro mandanti. La mia è misera resistenza individuale, la volontà di rendere manifesto che questa crescente deriva sbirresca non ci fa tutt9 content9.

In questi mesi comunque, alle prese con la scrittura del mio libro, sono stata più vole tentata di tornare sul tema e ragionarci. Non sarebbe stato neanche un pisciare fuori dal vaso: decostruire la legittimità di questo lasciapassare in un libro che si chiama Senza titolo di viaggio sarebbe stato assolutamente in tono. Solo che mi sono mancati tempo e strumenti di analisi e mi sono limitata, molto visceralmente, a scrivere che:

[Il] lasciapassare è una merda di per sé, ma per le persone trans è merda doppia perché in continuazione devi svelare a questi sbirri improvvisati il nome che lo stato ti impedisce di cambiare. [“Senza titolo di viaggio”, Alegre, 2021, p. 308]

Adesso però la situazione è cambiata, il discorso che avrei voluto fare se ne avessi avuta la lucidità e gli strumenti è stato scritto. Tre giorni fa è uscito su Napoli Monitor questo potentissimo articolo di Wolf Bukowski. Lo sottoscrivo riga per riga, parola per parola, carattere per carattere, persino negli spazi bianchi.

[La] possibilità di produrre pass diventa virtualmente replicabile all’infinito, e quindi altrettanto infinita la produzione di sans papier, di capri espiatori. Ogni volta, pass dopo pass, essi saranno invitati a scrollarsi di dosso il ruolo, ma anche via via si farà strada l’invenzione di un tratto comune, identitario, da cui infine non potranno più emanciparsi.

Quella che tratteggia Wolf in queste righe è la porta d’accesso a un regime concetrazionario. Riflettiamoci e agiamo di conseguenza, prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia già troppo tardi.
A corollario di quella lettura mi pare importantissimo linkare la riflessione che ne ha tratto Andrea Olivieri. Tira in ballo le parole di Toni Negri e – toh! guarda che caso – ritorna in scena la figura del mostr9.

«Il potere è da sempre potere sulla vita, biopotere. Nella tradizione del comando e nel pensiero occidentale, lo è a tal punto che ogni definizione del potere tout court è eugenetica, vuole incidere sulla vita e far la vita. La concezione eugenetica del potere crea la vita e, soprattutto, crea chi comanda sulla vita. Chi invece non deve comandare, è messo fuori, è mostro. Ma il mostro, man mano, nella storia del mondo, da “fuori” si ripresenta “dentro”. Meglio detto: esso, mostro, dentro c’è da sempre, perché la sua esclusione politica non è conseguenza, ma premessa della sua inclusione produttiva» [Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio alla politica, Manifestolibri, 2001].

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