
[Una donna ripresa a mezzo busto. Capelli scuri, raccolti in una coda. Indossa una camicetta bianca a pois neri. L’inquadratura rimane fissa per tutta la durata del filmato. Fuori campo le mani armeggiano, forse su un tagliere. Sullo sfondo, fuori fuoco, si intuisce del mobilio da cucina.
Da destra entra una giovane persona. Non la vedremo mai in volto e rimarrà sempre ai bordi del campo visivo. Gira attorno a un tavolo e si siede su una sedia a sinistra. Volge il volto alla cucina e le spalle all’obiettivo.
Giovane persona: Ciao mamma, sono a casa.
Donna: Ciao, amore. Com’è andata a scuola?
GP: Oggi in classe è venuta una signora, cioè prima era un uomo, ma dice che ora è una donna.
[La donna si acciglia ma continua ad armeggiare con le mani davanti a sé].
GP: Non so come sia possibile.
[La donna fa una smorfia, come fosse arrivata una zaffata di zolfo]
GP: Ci ha detto un sacco di cose strane
Donna: Tipo?
GP: Che possiamo scegliere di che genere essere o che possiamo cambiarlo e che l’identità è fluida.
[La donna aggrotta la fronte e rallenta il ritmo del suo lavoro].
GP: Poi ha letto delle storie…
[La donna sembra in preda a un incipiente mal di testa]
GP: … con due uomini che fanno un figlio.
[La donna sembra ora in preda a un attacco di nausea]
GP: Non so come sia possibile. Ah, poi ci ha detto che da domani…
[La donna prova a resistere alla nausea]
GP: … dovremo andare tutti nello stesso bagno…
[La donna stira le labbra]
GP: … maschi e femmine, perché tanto sarà un bagno neutro.
[La donna sospira]
GP: Ma io mi vergogno, mamma!
[La donna, severa e gelidamente furente, guarda dritto in camera]
Voce off: Giù le mani dai nostri figli e dai nostri nipoti.
[Appare una scritta in sovraimpressione: “Dona il tuo 5 per mille a Pro Vita & Famiglia (…) Stop gender nelle scuole”]
Si tratta di un video apparso il 22 maggio scorso sul canale YouTube di Pro Vita & Famiglia, un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale (onlus) con patrimonio immobiliare milionario che, apparentemente (?), intrattiene rapporti stretti con esponenti dell’estrema destra fuori e dentro il parlamento. Seguire il flusso di denaro e analizzare gli organigrammi è sempre un lavoro estremamente utile, ma io qui faccio una cosa più terra-terra. Mi limito ad abbozzare una micro analisi di questi cinquantasette secondi di spot pubblicitario. La forma è contenuto precipitato, scriveva T.W. Adorno e il linguaggio non è mai innocente, aggiungeva non mi ricordo chi.
La donna che ci viene mostrata è dedita ai lavori domestici ma non ha nulla dell’informalità casalinga: presenta il tipico aspetto artefatto “acqua e sapone”, quell’idea di look decoroso che molte aziende esplicitamente prescrivono a chi è alle loro dipendenze.
Sebbene abbia solo tre battute minimali, questa madre-casalinga-borghese è la sola e unica protagonista della scena. Ingombra quasi tutta l’inquadratura. La giovane persona rimane sempre distante e fuori fuoco, il nostro sguardo non può che concentrarsi sulle espressioni facciali dell’adulta. Una realizzazione plastica di cosa intenda PV&F quando parla di “libertà educativa dei genitori”.
Questa madre-casalinga-borghese ci appare come un personaggio straight, priva di inclinazione verso la giovane persona di cui è responsabile. Né accoglienza, né ascolto, né prossimità. Fra le due persone coinvolte non c’è nemmeno contatto visivo e, per l’intera durata del filmato, si danno le spalle. L’amore è un freddo enunciato, non accompagnato o seguito da alcun gesto concreto. La cura genitoriale sembra totalmente sostituita dalla pre-occupazione. Questa madre interroga, commenta mimicamente, giudica e prende risoluzioni senza altra comunicazione. A questo punto intervengono la voce off, “Giù le mani dai nostri figli e dai nostri nipoti”, e il messaggio sovraimpresso, che sollecita noi che stiamo dall’altra parte dello schermo a sostenere economicamente PV&F.
Nei nuclei famigliari in cui almeno uno dei genitori sposa l’ideologia del controllo patriarcale ipotizzo siano più frequenti altre dinamiche relazionali. Io, quantomeno, ho altre esperienze e ho ascoltato testimonianze altre. Ma non è questo il punto: nessun prodotto comunicativo è la realtà tout court, tutti i prodotti dell’ingegno umano, anche quelli più veraci e rivelatori, si limitano a darci una certa idea della realtà. Qui, ciò che colpisce è il silenzio e la mancanza di comunicazione. Ed è in questa scelta formale che, a mio parere, il contenuto precipita. Perché quello che teorici, araldi e manovalanze dell’ideologia del controllo patriarcale chiedono è, una congiura del silenzio. Silenzio sulle relazioni di cura, silenzio sulla sessualità, silenzio sui rapporti di dominio, silenzio sulle prevaricazioni sistemiche. Non si tratta solo di tacere di queste possibilità altre, si tratta soprattutto di negare l’esistenza a creature e relazioni che sono già qui, in ogni dove, in ogni tempo, e annichilirle. Un silenzio, tuttavia, tutt’altro che silenzioso: contrappuntato, anzi, da quelle fanfare patriottiche e nenie da catechismo tridentino le cui partiture si trovano, per esempio, fra le nuove linee guida per la scuola firmate dal – apprezzatissimo da PV&F – ministro Valditara.
Trovo l’intero spot da incubo, ma c’è una scelta formale che mi turba più di tutte. Mi mette i brividi sentire i colpi di coltello sul tagliere senza che le mani e gli strumenti da taglio compaiano mai. Per me è solo la conferma che l’ideologia del controllo patriarcale è a completo supporto della macelleria sociale neoliberista, in un pernicioso abbraccio in cui si alimentano a vicenda.
Quando PV&F ha pubblicato il video le bozze di Contro la politica delle briciole erano abbondantemente chiuse, ma quel silenzio e quei suoni di mannaia sono colonna sonora dell’intero libro.
***
Negli ultimi tredici mesi ho perso sette chili. Nel 2022 avevo chiesto un consulto a una nutrizionista. Era rimasta un po’ delusa: si era rifiutata di definirmi obesa e aveva messo in chiaro che la quantità di massa grassa che mi portavo addosso era perfettamente compatibile con uno stato di salute e benessere; se volevo, avrei potuto apportare degli aggiustamenti al mio regime alimentare, ma non c’era nessuna necessità che dimagrissi. Mi sono presa il mio piano alimentare, l’ho portato a casa, chiuso in una scatola e dimenticato.
Poi, a maggio 2024, soprattutto a supporto della mia salute mentale, ho installato un’app di yoga sul telefono e ho inserito la scopiazzatura delle asana proposte nella mia routine mattutina. Mi ha aiutata a regolare il mio stato d’ansia e, come effetto secondario, la mia pancia “da uomo” si è ridotta. Me ne vergogno, ma mi tocca ammettere che questa trasformazione mi fa provare euforia di genere.

Le voci dell’ideologia del controllo patriarcale me l’hanno ripetuto per anni: “già sei trans, hai le tette piccole, hai pochi capelli, non ricorri né a parrucche né a trapianti, almeno – cazzo – dimagrisci”. Ora sono nel pieno di un nuovo paradosso. Dimagrimento e sviluppo dei pettorali hanno fatto piazza pulita di quel minimo accenno di seno faticosamente coltivato con gli ormoni, le mie braccia hanno ripreso il volume di quando facevo dieci ore al giorno di decespugliatore e tosasiepi, il viso si è fatto più ossuto accentuando la somiglianza con mio padre e sfumando quella con mia madre. Eppure, questo profilo più filiforme, sebbene meno femminile, ha inaspettatamente aumentato il passing e il credito che il mio corpo ha nei confronti dello sguardo maschile, la mia figura ora è più compatibile con l’ortodossia di chi ha il permesso di vestire tubini e gonne corte.
Lo stigma contro il grasso e le persone grasse, ovviamente, segue le stesse direttrici di genere previste dall’ideologia del controllo patriarcale. Di un uomo grasso si può dire “omm ‘e panza, omm ‘e sustanza”, a una donna cis si riserva al massimo un “bella di faccia” e a una donna trans, tendenzialmente, nemmeno quello. I corpi sono sottoposti a griglie d’analisi rigidissime e crudeli, sulla base delle quali si elaborano gerarchie e marginalizzazioni. Se, come dice PV&F, “nessuno nasce nel corpo sbagliato”, possiamo dire che nel regno dell’ideologia del controllo patriarcale sono poche le creature che nascono proprio nel genere giusto, capaci cioè di rispondere a tutte le pressioni e le aspettative sociali. L’altro paradosso in cui viviamo, infatti, è questo: a noi persone trans sono negate relazioni, esistenza e riconoscimento perché incompatibili con le nostre anatomie, veniamo quindi addestrate a odiare i nostri corpi e le nostre incarnazioni, ma il punto su cui fa leva il panico morale dei think tank patriarcali è “proteggere i bambini dai bombardamenti ormonali e dalle mutilazioni”.
Di questi paradossi, di queste griglie di controllo, di queste pressioni e aspettative sociali si parla in tutti i racconti di Contro la politica delle briciole, con la convinzione che trans è una delle possibili maniere di relazionarsi alle altre creature nel mondo patriarcale: farmaci e chirurgie, che hanno scarso o nessun potere trasformativo sul contesto sociale, sono solo stratagemmi per sopravvivere all’odio di noi che il sistema ci impone.
Visto che “il silenzio non ci proteggerà” (cfr Audre Lorde), in Contro la politica delle briciole. La mostruositrans e altre mitologie femministe, una gran quantità di voci mostruose si è schierata contro la congiura del silenzio. Non sempre unanimi, non sempre concordi, più una assemblea che un coro: molteplice, critica, affilata, veemente.
Il libro, edito da Tamu, uscirà il 18 luglio con, fra le altre, una illustrazione di Doc (M.) Kurtz.
Venerdì 11 luglio, da Norabook, Torino, ci sarà la prima presentazione. Il calendario delle successive uscite è in via definizione: tieni d’occhio il canale telegram e questa pagina.
Qui gli altri post di annunciazione.