#Indecoroso – 25/09 al Molo di Lilith

Inceneritore del Gerbido. Sì, lo sappiamo, gli inceneritori li vuole il capitale. Contemporaneamente nel condominio in cui abitavo, su 44 famiglie in non più di una decina eravamo ingrado di fare una differenziata passabile. La questione non era: "finisce tutto nell'indeffernziato". La questione era quella del sabotaggio quotidiano alla differenziato. Ci deve esseredel dolo nel buttare sistematicamente l'organico nella plastica, la plastica nel vetro e l'indifferenziato dove capita.

Inceneritore del Gerbido. Sì, lo sappiamo, gli inceneritori li vuole il capitale. Contemporaneamente, nel condominio in cui abitavo, su 44 famiglie, in non più di una decina eravamo in grado di fare una differenziata passabile. Era in atto un sabotaggio quotidiano alla differenziata. Ci deve essere del dolo nel buttare sistematicamente l’organico nella plastica, la plastica nel vetro e l’indifferenziato dove capita. Ma questo non è indecoroso, né lede “il buon nome del codominio”.

Ho abitato per sette anni in un condominio inserito in un brutto complesso residenziale. Sei palazzi uguali, di quelli che l’impresa costruttrice, nel depliant promozionale, ti scrive con tre esclamativi: “cura del dettaglio”.
Le stanze minuscole, il giardino comune completamente piastrellato, alberi disposti geometricamente e l’erba asfittica confinata in aiuole tristissime.
Una roba da far venire il soffoco.
La mia compagnia ed io ci siamo caricati il mutuo di quella casa solo per questo: il nostro appartamento era a piano terra e aveva accesso esclusivo a ben sessantaquattro metri quadri di giardino. Sì, ok, dodici metri quadri erano piastrellati, ma in ogni caso lì fuori ne avevamo ben quattro in più di quanti ne avessimo in casa.
Desideravamo quel giardino per coltivarlo e per respirarci e per avere la sensazione di essere in qualche modo liberi.
Nel giro di qualche assemblea condominiale è venuto fuori che chi faceva l’orto nel giardino di sua pertinenza minacciava la rispettabilità del palazzo, privava i condomini del loro onore.
Se desideraste acquistare un alloggio con giardino in un complesso residenziale, tenetelo a mente: fare l’orto è indecoroso.

Certo, il nostro orto non sarebbe mai stato inserito fra i cento orti più belli del globo, però era pieno di fiori e generava una notevole biodiversità. Eppure, avremmo dovuto smantellarlo.
Allora ci siamo interrogati: in che modo il nostro orto toglie dignità al buon nome del palazzo?
Poi ci siamo di nuovo interrogati: che cazzo vuol dire l’espressione ” il buon nome del palazzo”?
Ci siamo anche chiesti: ma il fatto che la maggior parte dei condomini non saluti e lo faccia solo se è costretta e quando dice buongiorno sembra stia masticando uno stronzo di cane, tutto questo ha in qualche modo a che fare con il “buon nome del palazzo”?
Boh.
Allora abbiamo provato ad antropologizzare, ci viene abbastanza facile a noi che abbiamo fatto studi umanistici e, tra l’altro, non ci costa niente.
Antropologizza tu che antropologizzo io, siamo venuti alla conclusione che l’orto stesse sulle balle a quei miniborghesi o aspiranti borghesi cresciuti in campagna, nella terra, e che con la terra non desiderano spartirci più nulla. Perché la terra fa vergogna, è brulicante ed è sporca: il concetto di decoro invece è asfaltato, pulito, asettico.
Detto questo, non avendo potuto riscontrare nessuna valida ragione per privarcene, oi quell’orto ce lo siamo tenuto fino all’ultimo giorno. E in culo al buon nome del palazzo.

Quando ce ne siamo andati (ora stiamo in un vecchio condominio un po’ sgarrupato, con le stanze più grandi e il doppio di superficie coltivabile) abbiamo lasciato ai nuovi inquilini il finocchietto, due varietà di menta, una salvia a foglie grandi e carnose (ottime da friggere), il rosmarino, tre qualità di timo e la melissa. Qualche mese dopo il trasloco son passato là davanti in bici e ho sbirciato dalla siepe. Han ranzato via tutto e ci han fatto un merdosissimo prato all’inglese. Ai nuovi inquilini si vede che del decoro e del buon nome del palazzo un pochino gliene frega.

Inchiostro scarso

Inchiostro scarso

Ora, il 25 settembre, al Molo di Lilith, faccio il mio spettacolo di canzoni. Si intitola Indecoroso e non è un prato all’inglese, non è un deodorante chimico nell’ascensore, non è il silenzio di tomba alle 23, non è uno sguardo puntato ai lacci delle scarpe per non doverti guardare in faccia quando ti incrocio sul vialetto.
Il mio spettacolo di canzoni è un po’ come quell’orto: piccolo, selvatico, rigoglioso, inopportuno, indegno. In una parola, appunto, indecoroso.

In scaletta c’è qualche pezzo nuovo.
Il Molo di Lilith è in via Cigliano 7 a Torino, suonerò per le 21.30.
Ci vuole la tessera ARCI.

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