È già capitato che spettacoli miei, in parti o nella loro totalità, venissero ripresi. Ho sempre ringraziato le persone che si erano prese il disturbo, ma non ho mai autorizzato a rendere pubbliche quelle immagini. Ho scarsa dimistichezza con cineprese, telecamere e obiettivi. Non è il mio linguaggio.
Il mio lavoro è pensato per essere letto o per la fruizione immediata fra i corpi. I miei copioni hanno maglie larghe e sono soggetti a continue modificazioni, spesso con delle vere e proprie edizioni locali. E poi lo spettacolo non è solo quello che avviene sul palco, ma preparare lo zaino, il viaggio, arrivare in un posto nuovo, oppure in uno spazio che già conosco e dove ho degli amici e delle amiche. Uno spettacolo è il montaggio del mio set, le chiacchiere prima dello spettacolo e quell’intimità che si crea fra il mio corpo e quello delle persone che sono venute a vedermi. È il mio zaino pesante, spesso lasciato in vista sul palco, ed è la forza di chi ha scelto di lasciare la comodità del divano di casa per stare a gelare o arrostire insieme ad altre persone (negli spazi sociali in cui mi esibisco ci trovi sempre la temperatura ideale!). La sensazione di tutto questo nelle riprese dei miei spettacoli non c’è.
A gennaio, per esempio mi sono esibita ad Asti, in un minuscolo circolo anarchico che si chiama La Miccia. Io ero chiusa in un angoletto, ma perfettamente a mio agio. Mi hanno illuminata con una piantana da salotto messa in diagonale. La stanza era piena e c’era gente ha che assistito allo spettacolo come fosse alla radio, dall’altra stanza. Mi sono divertita un casino, sono andata molto a braccio, con conseguenti inciampi e esitazioni. Ma era l’interazione fra me e quelle persone, la nostra relazione. Come fa una ripresa fissa a restituire quel senso di calore e di condivisione? Per cui no, ho quasi sempre detto no.
Ieri sera mi sono esibita in uno spazio privato. Davanti a me avevo una Barbie, un cinghiale di peluche, una persona in carne ossa e le cam integrate di due pc portatili che mi inquadravano. Di là dagli schermi, in diretta, pare ci fossero più di cento persone. Lo spettacolo era Pesci rossi. Teoria e tecnica della quarantena, un assemblaggio nuovo e sperimentale di materiale eterogeneo, messo su in tempi brevissimi per provare a raccontare ciò che sta succedendo. Mentre lo pensavo, sapevo che avrei avuto davanti degli schermi e mi sarei mossa come un pesce rosso, sola nella mia boccia, e in qualche modo questo è impresso nella struttura dello spettacolo. L’esibizione è barcollante e punkettona, ma è più o meno quello che pensavo venisse fuori e quindi, una volta tanto, lascio immagini miei liberamente fruibili sul web.
Le trovate qui.
La penultima canzone, Ahimè non posso uscir, è una cover infedele di Alas, I cannot swim di Laura Marling. Ho finito di scriverne il testo alle cinque del pomeriggio e l’ho provata poche ore dopo “in scena”. Mi spiace proprio sia venuta così male, perché è quel tipo di canzone a cui mi affeziono subito: fuori metrica, zoppicante, retorica, ma calda e sentita. Lascio qui sotto il testo e spero che persone più in gamba di me abbiano voglia di cantarla e suonarla. Ancora un ringraziamento al Molo di Lilith per l’ospitalità e lo stimolo e a tutte le persone che sono connesse. Ci vediamo per le strade.
Ahimè, non posso uscir
C’è un bel sole fuori casa ma ahimè non posso uscir
gli ippocastani sono in fiore e a me sembra di impazzir.
C’è un bel sole fuori casa ma ahimè non posso uscir
quindi abbasso le serrande, addio sole vo a morirC’era vita fuori casa ma ahimè non posso uscir
senza abbracci dellu amicu il mio cuore va a languir.
Sì, c’è vita fuori casa ma ahimè non posso uscir
e mi chiedo quanto posso continuar cosìC’è una lotta fuori casa quella si riguarda me
coi compagni e le compagne a gridar “non ci sta ben”.
C’è una lotta fuori casa quella si riguarda me
scenderemo ancora in piazza? quanti ma e quanti seRegna l’ordine fuori casa ma non per me
regna l’ordine anche in casa ma non per me
Ordina chi? Ordina cosa? Quando e perché?
Ordina chi? Ordina cosa? Quando e perché?Tutto in ordine fuori casa e non si può più vivere
ma è la vita che ci manca e allora tocca scendere
per le strade con i corpi a gridare e cantare
lo decidiamo noi
quando
non gli sbirri e manco i re