Il decoro illustrato muove i suoi primi e ancora malfermi passi. Sabato scorso a Casa Spartaco, in coda a un incontro sui temi de La buona educazione degli oppressi, presenti Wolf Bukowski, Marina Prosperi e Maria Elena Scavariello, ne ho provati una ventina di minuti in favore di pubblico, qualcosa di un po’ più strutturato rispetto a quello che è andato in scena il 27 settembre scorso sul palco del Molo di Lilith. In quella prima occasione – pare che abbia sfiorato le due ore! – avevo portato in scena letture, appunti e riflessioni ad alta voce: dal punto di vista dello spettacolo c’era davvero poco, giusto due monologhi e tre o quattro canzoni.
In queste settimane, aiutata dalla lettura/ascolto delle parole di Tamar Pitch, Didier Eribon e dall’ennesima immersione nel libro di Wolf, ho iniziato a concentrarmi sul lavoro drammaturgico. Quando questa estate pensavo a Il decoro illustrato immaginavo che potesse assomigliare a una collezione di cartoline dalla città decorosa. Ha poi invece preso una piega diversa, più dinamica. L‘approccio ha qualcosa anche dell’epico e del leggendario. In questo momento lo scheletro dello spettacolo è costituito da un pugno di ballate (e qui mi riprometto prima o poi di mettere giù alcune riflessioni su cosa significhi secondo me fare la punkastorie) e qualche invettiva.
Domani, sotto la tettoia del Vis Rabbia presento alcune di queste suite. Sarà uno spettacolo più breve, diciamo sui 45 minuti, e più ellittico di quello che si è visto al Molo. La settimana prossima al Manituana ne presenterò altri 45 minuti, andando a toccare altri nodi.
L’obiettivo è di arrivare alla quarta prova aperta, che sarà a Bologna, al Vag61, il 16 di novembre, con tutti i pezzi al loro posto. Non si tratterà in ogni caso della versione definitiva dello spettacolo, perché la cronaca ogni giorno fornisce nuovi esempi e suggerisce nuove chiavi di lettura e prevedo che questo sarà uno spettacolo magmatico, multiforme.
Se, come dice Wolf, il decoro è una delle forme assunte dalla politica oggi, noi siamo fra i novecentonovantanove. E il punto è ribellarsi.