Nel libretto che raccoglie il copione de La punk spiegata alla nonna ho scritto:
Nel giugno 2017 decisi che non mi sarei mai più presentata sul palco fino a che non avessi trovato: 1) una formula che mi facesse uscire da automatismi scenici e drammaturgici acquisiti e consolidati nei dodici anni precedenti; 2) il coraggio di vivermi pubblicamente e serenamente la mia frociaggine. Avevo bisogno di un cambiamento.
Quel cambiamento si è manifestato in scena il 3 agosto del 2018, la sera della prima prova aperta de La punk.
Lo spettacolo era troppo lungo, i pezzi barcollanti, la drammaturgia quasi assente, ma per lunghi minuti ero riuscita a tenermi alla larga dalla mia solita maschera da palco, avevo detto e raccontato diverse fra le cose che mi sembrano importanti e mi ero presentata vestita da punk-odalisca.
Solo un mese dopo quel ritorno alla scena avrei cominciato a considerarmi una persona transgender dichiarata, ma quella sera avevo fatto un balzo avanti. Finalmente, mi ero presentata sul palco per quello che mi sento: una teatrante frocia. Il mio teatro, per quanto sgangherato possa apparire, aveva per la prima volta a disposizione il mio corpo intero. Un corpo trans. Una conquista personale, certo, che è anche una conquista politica, perché il mio nuovo agire e questo spettacolo mi hanno permesso di conoscere persone, di aprire discorsi, riflessioni, relazioni, scambi.
Ho fatto delle gran chiacchierate a margine delle serate, ricevuto mail, messaggi, cartoline, canzoni; La punk è finita in una tesi di laurea e in una di dottorato; un frammento di testo (una rielaborazione di un pensiero di Mark Fisher) è diventato un cartellone che ha sfilato a Roma nel corteo del 8 marzo. Tutte cose piccole, ma reali, che da un palco finiscono nella vita delle persone e nelle strade. Ho concentrato in questo spettacolo molti dei pensieri, delle filosofie e delle esperienze che mi spingono a stare qui e a lottare. Ho cercato di tenermi lontana dall’ottimismo a buon mercato e dal cinismo a prezzi di saldo, nella speranza di contribuire con un pugno di canzoni e storie a nutrire l’ostinata contrarietà a questo mortifero sistema economico e sociale.
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Alla sua prima uscita la cornice narrativa de La punk è solo abbozzata, si vede bene invece lo scheletro che la sorregge. Nella prima versione lo spettacolo è articolato in 14 diverse sezioni tematiche. Due di queste sono “corpo e sessualità” e “relazioni, amore”. Già dalla seconda data queste sezioni scompaiono. Compattare argomenti così enormi in poco meno di dieci minuti mi sembrava assai riduttivo e quindi da subito mi riprometto di sviluppare quelle intuizioni in uno spettacolo dedicato. Apro una cartella, la nomino Sono molto preoccupata e comincio a infilarci dentro materiali e appunti.
A metà febbraio, quando già mi sono fissata la prima prova aperta, sono costretta a cambiare programmi. Sono su un pullman, sto viaggiando fra Macerata e Roma e fisso inebetita il mio e-reader. le parole che nuotano sullo schermo sono quelle di Ciò che dissi a Victor Frankestein sopra al villaggio di Chamonix. Una interpretazione della rabbia transgender di Susan Striker.
Quel testo – potentissimo – fin da subito spariglia le carte. Mi costringe a guardare al materiale accumulato attraverso la lente della mostruosità e ciò che sembrava, di nuovo, la giustapposizione di monologhi e canzoncine idiote diventa uno spettacolo unitario. Il tutto trova un’ulteriore quadratura quando qualche settimana dopo, sempre grazie al lavoro di traduzione militante di Feminoska, incontro questo pezzo di Mia Mingus.
Lo spettacolo va in scena la prima volta il 28 di aprile, si intitola Mostre & Fiere ed è una cavalcata scomposta nei cruenti campi di battaglia dei corpi, dell’autodeterminazione, della sessualità. Mostre & Fiere è una costola de La punk e, benché in nessun modo si possa definire un sequel, ne è anche una sua naturale prosecuzione.
Il 28 giugno scorso, per celebrare i moti di Stonewall, Mostre & Fiere è andato in scena per la quarta volta all’Unione culturale Franco Antonicelli. L’ultima per un bel po’, perché il concept dello spettacolo diventerà un libro che uscirà a giugno prossimo per Eris. Fatta eccezione per un’uscita già programmata per il prossimo marzo (e di cui darò notizia più avanti), Mostre & Fiere tornerà in scena insieme al libro.
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La punk è una seduta spiritica, l’evocazione di un fantasma. L’io narrante, il personaggio che occupa la scena, racconta all’ectoplasma di sua nonna – per necessità, per pareggiare i conti con il passato e immaginarsi un futuro – della sua devozione a una dea, la Punk, la cui nemesi si chiama invece la Decorosa. Quest’ultimo non è un nome estemporaneo: alla questione del decoro è completamente dedicato uno dei monologhi che struttura lo spettacolo, guarda caso la sezione che in questi mesi si è maggiormente prestata a mutare, assecondando gli accidenti del luogo in cui mi esibivo e i capricci della cronaca.
La scorsa primavera è uscito La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro di Wolf Bukowski. Appena annunciato, ho scritto a Pietro De Vivo, un amico che lavora per Alegre, che quel titolo mi sembrava geniale. Il libro l’ho poi letto e riletto e sottolineato e appuntato, perché in poco più di 150 pagine, con un scrittura dritta ed elegante, in maniera radicale e inappuntabile traccia la geneologia di una delle parole d’ordine (un’idea senza parole, mutuando la categoria proposta da Furio Jesi in Cultura di destra) che maggiormente permea l’operato di governi e amministrazioni locali negli ultimi anni. La descrizione del dispositivo decoro offerta da Bukowski è la mappa su cui sto sistemando materiali vecchi e nuovi. Sarà questo lo spettacolo dei prossimi mesi. Per ora non ha ancora un titolo (o meglio, ne ha almeno cinque, ma non è ancora il momento di scegliere), ma ha già in programma una prima prova aperta. Sarà venerdì 27 settembre al Molo di Lilith (TO). Manco a dirlo, anche questo lavoro è una prosecuzione rizomatica de La Punk.
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Nel corso dei mesi La punk ha lasciato qualche traccia di sé sui social, qualche elogio volante e tante foto (qui per esempio quelle di Michele Massetani). Dopo la replica di Macerata è uscita questa intervista sul blog del Collettivo Paolo Uccello e, prima di quella bresciana, un’intervista radiofonica ai microfoni di Radio Onda d’Urto. Ma non è tutto.
Ci sono altre due derive che da La Punk prendono le mosse: di una è davvero troppo presto per spenderci delle parole, basti sapere che nasce da un’idea della documentarista Federica Sposato e si pone all’intersezione fra lo spettacolo e ciò che racconto in questa intervista a proposito di Sì trav. Come la militanza No Tav mi ha dato il coraggio di diventare me stessa. L’ultima deriva è questa: il 9 di ottobre andrà in scena Nessuna nostalgia, la reunion (one shot, lo giuriamo!) dei Disperazione, la band orbassanese ampiamente citata ne La punk. Questa sì, davvero, è un’occasone unica.
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La punk spiegata alla nonna ha girato, e ancora girerà, (qui le prossime date), soprattutto grazie a una rete di relazioni umane e politiche che esiste davvero, che va ben oltre le “amicizie” sui social e che muove idee, persone, ragionamenti, azioni. È alla tessitura di queste reti che dovremmo dedicarci se desideriamo davvero cambiare i rapporti di forza che sostanziano questi tempi orribili e il mattatoio industriale che ci ostiniamo a chiamare società. Mi prendo lo spazio per citare, in ordine sparso e senza pretese di completezza, alcuni dei nodi che compongo la rete: Alpinismo Molotov, la Wu Ming Foundation tutta, le compagne e i compagni No Tav sparsi per lo stivale, le diverse sezioni di Non una di meno che mi hanno cercata e le altre realtà frocie, femministe, transfemministe (Ah, squeerto, Collettivo Degender, Brescia Pride, Nessun Norma, Sisters on the block, Urania), il Molo di Lilith che mi apre sempre le porte. A loro e a tutti i centri sociali e gli spazi libertari che ho attraversato in questi dodici mesi: grazie per avermi invitata, accolta, ascoltata, coccolata. È stato un piacere impagabile.
Ci vediamo in giro.