Il 14 aprile 1982 entrava in vigore la legge 164, “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”. Oggi, 39 anni dopo, su Giap, sarebbe dovuto uscire un mio lungo articolo intitolato Cinque lettere. Esperienza trans, discriminazione strutturale, diversity management: un’analisi transfemminista. In quelle righe provavo a rendere evidente che la transfobia è sistemica. In quest’ottica, mi impegnavo anche a dimostrare che una legge come quella proposta da Alessandro Zan, che sanziona chi aggredisce fisicamente o a parole le persone trans (e quelle lesbiche, gay, bisessuali) non arginerà il fenomeno. Le letture, i ragionamenti, i confronti, le esperienze condivise con fratelli, sorelle, sibling trans mi portano a dire che la discriminazione è scritta nelle leggi dello Stato e nel dominio eterocispatriarcale e capitalista che le ispira e che plasma i rapporti economici, sociali e di potere.
Avevo pensato il mio intervento come un dittico. Lo scopo era far immergere lettori e lettrici in questa brodaglia di violenza strutturale e di mostrare la maniera contraddittoria in cui le persone trans provano a starci a galla. Nella prima parte raccontavo nel dettaglio una storia che è avvenuta a me in questi mesi, un apologo fra Kafka e Fantozzi in salsa gender. Nella seconda puntata intrecciavo storie diverse a un’analisi sintetica del quadro legislativo ed esistenziale che ci condiziona la vita. Nel finale inforcavo gli occhiali del transfemminismo, lenti che ci permettono di guardare oltre le toppe e le soluzioni di facciata, con gli occhi, le menti, i cuori e i corpi puntati a un cambio radicale.
La pubblicazione di queste righe è soltanto rimandata di qualche mese e traslata su un altro supporto, la carta. Mi preme però riportare oggi poche cose.
Nell’articolo, nel criticare l’impianto del ddl Zan, ne denunciavo la cornice punitiva e carceraria. Come attivista transfemminista e libertaria sono convinta che la minacce di detenzione e le pene esemplari non siano soluzioni ai problemi sociali. Sarebbe ancora più preciso dire che contesto l’esistenza stessa del carcere. Recludere i corpi continua a essere la soluzione per togliere dalla vista le persone povere, mettere a tacere quelle che dissentono, escludere quelle, a vario titolo, irregolari. Un transfobico in galera non cancella l’omolesbobitransfobia, un’esperienza dietro le sbarre, la privazione della libertà, non può rendere migliore né la società, né le persone che la sperimentano. Da qui poi, ai confini della Valsusa, in pieno tracciato della Torino-Lione, coinvolta come sono nella lotta No Tav, so che quelle mura sono usate spesso per spezzare l’opposizione, la dissidenza alla brutalità e alla rapina dello Stato e del neoliberismo.
In un altro passaggio scrivevo:
Fra le storture che rendono così difficile il dispiegarsi dei nostri percorsi di affermazione di genere c’è: uno, il sistema sanitario non è autenticamente a libero accesso, gratuito e universale; due, i fondi destinati ai consultori, alla salute sessuale, riproduttiva e ai percorsi di affermazione di genere sono del tutto insufficienti e, tre, le strutture pubbliche continuano a essere popolate da troppi obiettori, difensori di una visione che imprigiona le persone che hanno un utero al ruolo, spacciato come naturale, di fabbriche per la gestazione, e che patologizza e condiziona le esistenze, i comportamenti e le decisioni sui loro corpi delle persone trans e non binarie.
In un momento di crisi sanitaria ed economica vedere le forze dell’ordine scortare il capitale a depredare il territorio valsusino ci fa capire quali sono le priorità dello Stato.
Ancora una cosa, anche in pandemia il movimento No Tav non si è fermato e ha continuato a disobbedire, ad autorganizzarsi, e l’esistenza del Presidio di San Didero, sotto attacco in queste ore, lo conferma. Disobbedienza e autorganizzazione sono l’auspicio finale del pezzo che oggi non va on line. La rete transfemminista italiana recentemente ha messo in piedi ZTL (Zona Transito Libero), un’iniziativa che sull’esempio di Obiezione respinta, invita le persone trans e non-binarie a segnalare dal basso i disservizi, le storture, le violenze che la legge 164, il protocollo ONIG che la applica, la mentalità eterocispatriarcale e il dominio neoliberista, dispiegano ogni giorno sui nostri corpi.
Ogni lotta è tutte le lotte.
Ci vediamo in piazza, per le strade, sui sentieri.
A sarà dura!