Se il germoglio radica vuol dire che il nuovo individuo, tutto sommato, in quel posto si trova bene. Magari non è il massimo, magari non è proprio il posto ideale, ma ha i requisiti minimi di vivibilità. La punk è così, è vegetale, radicale e radicata.
Non può esistere una punk globalizzata: la punk è sempre localizzata. L’ossigeno che poi immette nell’aria può andare ovunque, ma le sue radici affondano in un territorio specifico.
Questo passaggio è nel testo de La punk spiegata alla nonna fin dalla sua prima uscita. Sono parole necessarie all’introduzione di Il cielo è di tutti, canzoncina frutto della collaborazione asincrona fra Gianni Rodari e Bobo Rondelli.
L’apprendistato femminista mi spinge a partire da me dal mio corpo, dalla mia esperienza; la fede materialista se da un lato mi concede di evocare fantasmi, cercare atlantidi, riconoscermi mostra, nutrirmi di fantascienza, dall’altro mi esorta a prendere in esame i contesti storici, geografici, sociali che hanno contribuito alla costruzione del mio sguardo. E quindi, prima di cantare la legittimità per tutte e tutti di respirare il cielo di questo pianeta, mi posiziono, come a dire: “lo sto dicendo da qui”.
Nello spettacolo lo esplicito proprio che sono nata nella provincia occidentale di Torino da genitori siciliani e che gran parte della mia educazione sentimentale si è fatta qui, alle case marroni di via Aldo Moro. Fossi cresciuta 30 metri più Est nelle villette di via Francesco d’Assisi o 150 metri più a Ovest alle popolari di via Moriondo (le case gialle) sarei stata una diversa Filomena o magari non sarei stata Filomena per nulla. Il percorso di ognuna, di ognuno, di noi è profondamente influenzato dalle contingenze e dalle congiunture. Alla vecchia, lo chiamavano determinismo sociale. Certo, non è tutto lì, ma fa tipo il 50%, per me.
Ho trascorso oltre nove decimi della mia esistenza sulle sponde del Sangone: Rivalta prima, Orbassano poi. (Quanto lo sento vero che “la provincia crea dipendenza”). Luoghi che nel bene e nel male, nella luce e nell’ombra, nel grigio e nel marrone, mi hanno segnata e che continuano a echeggiare nelle mie storie e nelle mie riflessioni.
Domenica scorsa, allo spazio Grizzly di Fano, La punk ha visto la sua ventinovesima apparizione sul palco. In questi 15 mesi l’ho portata in giro in 6 regioni, 19 città, 26 diversi spazi sociali. Venerdì faccio cifra tonda, lo spettacolo giunge alla trentesima replica. Sarà a Rivalta. E in qualche modo mi sembra di chiudere un cerchio. Farla qui, in uno dei luoghi che l’hanno ispirata, mostrarla a persone rivaltesi, portargliela nel loro habitat in-naturale, mi pare come se lo spettacolo faccia uno scatto di anzianità e, più che altrove, mi esponga alla critica: una specie di conseguimento della maggiore età.
Mi è capitato spesso nelle tappe precedenti di inserire notizie, riflessioni, battute sul luogo che mi ospitava. È una consuetudine antica delle compagnie di giro, serve ad avvicinare performer e performance al pubblico, serve a di-mostrare che quello che si vede in scena è azione che accade nel presente e non l’alienata riproposizione di parole nate e morte altrove.
Se mi ci attenessi a Rivalta, vista la quantità e la qualità di esperienze vissute in questo paese, ne verrebbe fuori un patetico amarcord. Che gliene fotte alla gente dei fatti miei?
E se invece a Rivalta portassi le suggestioni raccolte altrove? Come fossi Samvise Gamgee che sparge la terra di Lorien nella Contea? Ma non sono Sam (e nemmeno Meriadoc, se è per questo) e non ho ricevuto doni magici da dama Galadriel.
E quindi no, farò La punk e basta, attenta il più possibile a chi ho davanti e a cogliere le suggestioni del presente.
Non un’edizione speciale, dunque, ma speciale, sicuramente, è lo stato d’animo che mi accompagna all’appuntamento.
Mi esibirò nella sede degli amiche Takajasu: una stanza dell’ex monastero di Rivalta, una di quelle che si affacciano sul parco.
All’ex monastero ci ho passato innumerevoli estati di centri estivi, sia come animat* che come animatora, ci ho fatto le scuole medie, mi ci sono allenata nella mia invereconda parentesi da pallavolista, ci ho preso l’unica lezione di chitarra della mia vita, ci ho fatto le prove con la mia prima compagnia teatrale, ci ho fatto il servizio civile e ci ho lavorato altri tre anni come operatora sociale e poi non parliamo dei film visti nel parco, al cinema all’aperto, dei buchi nella rete per squattare il campetto da basket, dei pranzi No TAV, dei 25 aprile ribelli. Insomma, difficilmente posso pensare a un posto che è più casa di questo.
E forse, su dai, mi verrà difficile esimermi dal tirare fuori almeno una canzoncina nuova.
E dunque: rivaltesi, fratelli e sorelle della periferia ovest, perlustratrici del Sangone, esploratori della collina morenica. ci vediamo venerdì sera in via Balegno 4, Rivalta di Torino.
Ingresso libero. L’uscita pure.