Fine dell’anno, nuovi progetti, tre importanti incontri

Il primo di dicembre, a Cagliari, c’è stata l’ultima data del 2019 de La punk spiegata alla nonna. In questa manciata di giorni che ci separano dalla fine dell’anno, ho ancora tre appuntamenti. Si tratta in tutti e tre i casi di spettacoli nuovi o, per meglio dire, di prove aperte di spettacoli nuovi. Ho scritto molto nei mesi scorsi sulla pratica della prova aperta, non mi ci dilungo oltre. Quello che qui mi preme mettere in risalto è che tutti questi nuovi progetti sono nati sotto il segno dell’incontro, grazie allo stimolo e al confronto con altre persone. Sono molto felice e grata e mi pare una conferma che il lavoro che cerco di fare con le canzoncine e i lunghi sproloqui è un lavoro politico.

Il Nuovo Panificio (Cagliari) gremito. Foto delle Menadi

Il 9 dicembre, a Torino, nei locali della associazione Almaterra, andrà in scena È tutta colpa di Platone. Breve simposio cantato sull’esperienza trans. Per ora si tratta di un assemblaggio grezzo di canzoncine e riflessioni eterogenee. Un po’ di queste cose le ha pensate Antonia Caruso, scrittrice, editrice, attivista transfemminista. È il più recente dei miei progetti, ci saranno più avanti occasioni per parlarne più diffusamente, per ora vi invito a leggere questo articolo che in buona parte ne coglie lo spirito,

Clicca per ingrandire la locandina di Il Mostro e la fiera

Il 14 dicembre al Teatrofficina Refugio, a Livorno, va in scena Il mostro e la fiera. Anche questa è la prima prova aperta di un nuovo progetto che nasce dall’incontro con il ricercatore, performer, attivista antispecista trans, co-fondatore di Ippoasi  e del collettivo anrcoqueerecovegfemminista Anguane, Egon Botteghi. Lo presentiamo così:

Sedicenti persone normali scrivono libri, organizzano convegni, mettono su baracconi.
Fra le righe, nelle conferenze, sulle piste da circo ci sono le creature mostruose. Le sedicenti persone normali, attraverso le lenti degli strumenti diagnostici o le sbarre delle gabbie, contemplano le creature mostruose “non dico dove, non dico come”. Le fattezze delle creature mostruose, le loro relazioni, le loro sessualità, vengono interrogate e messe a paragone della normalità supposta.
Immaginate che due creature mostruose si siano momentaneamente liberate, abbiano preso a pedate il domatore e si prendano la pista.
“Il mostro e la fiera” è l’assemblaggio mostruoso di due diverse performance e segna l’incontro fra le creature che le hanno ideate: Egon Botteghi e Filo Sottile. È un freakshow autogestito, uno striptease politico e un ardito esperimento. E questa ne è la prima prova aperta.

Il 15 dicembre porterò a Casa Spartaco l’ennesima prova aperta (quarta? quinta? vi evito la disamina dell’appassionante questione) di Il decoro illustrato. Tragedia!. Lo spettacolo è a un punto avanzato: è giunto a una struttura ben definita, ma tutt’altro che definitiva. Nasce dall’incontro con il libro La buona educazione degli oppressi (Alegre, 2019) e con Wolf Bukowski che ne è autore.

Questa volta l’esibizione sarà accompagnata dalla presenza del libretto che raccoglie il copione dello spettacolo. Si tratta anche questa volta di un’autoproduzione, confezionata grazie all’indispensabile e generosissimo contributo di Mariano Tomatis e Franco Berteni.

Ecco parte dell’avvertenza che lo apre:

La copertina del libretto è una elaborazione grafica di Mariano Tomatis di una foto di Diego Fulcheri. La finestra ritratta è del presidio No Tav di Venaus

Entro e ci sono centinaia persone. Meno di un’ora dopo Wolf mi dirà:
– È bellissimo! Socialità pura, autogestita, spontanea, il solo gusto di condividere il tempo insieme”.
Verissimo. Ma non è quello che ho pensato alle undici di sera di sabato 16 novembre, quando sono entrata alla ex caserma Sani, occupata il giorno precedente dalle persone di XM24.

Cerco di farmi largo nello stanzone enorme che si apre a sinistra. C’è un tizio che rappa laggiù in fondo, lo so perché le sue rime escono ovattate dall’impianto (insufficiente per l’ampiezza del locale) e perché ogni tanto, piccolissimo, appare, quando la folla che gli salta intorno prende il tempo giusto e si abbassa tutta insieme.
Stefano di Vag61 è un poco più avanti, regge il mio leggio e mi fa cenno di seguirlo.
Nella mia testa esplode la sfiducia:”Cazzo, questa è la mia Waterloo”.
Tanta sfiducia spesso è il contraltare della megalomania.
Ho la tentazione di fare dietrofront.
“Come faccio a fare uno spettacolo di un’ora e mezza in un tale casino? Qua la gente è in botta. Come li convinco ad ascoltarmi, a seguirmi, in un ragionamento, anzi nella prova aperta di un ragionamento? Come posso sopravvivere, io che sono abituata a fare tutto in acustico, a questa stanza gigante?”

Arrivo dietro la consolle, poggio lo zaino a terra e comincio a tirare fuori il testo dello spettacolo. Nella testa mi ripeto la formula che mi serve a placare l’ansia che sempre mi piglia un minuto prima di andare in scena: “Sono qui per divertirmi”.
Ma stavolta non basta. Mi giro a guardare e ora sembra che le persone si siano decuplicate: saltano, cantano, si abbracciano. “Come faccio?”
Tiro fuori l’ukulele. SOL, DO, MI, LA. Sarà accordato? Boh. Chi lo sente?
Stefano mi aiuta a portare le cose davanti alla consolle. E mi indica al ragazzo che sta dietro al mixer.
– Di cosa hai bisogno?”
– Una presa di corrente per la luce del leggio, un microfono per la voce e uno per l’ukulele.
Il semipanoramico fischia, anche lo Shure 57 fischia.
– Forse se proviamo a spostare le casse…
– No, aspetta, faccio senza.
– In che senso?
Nei due minuti che sono passati nel tentativo di far suonare l’ukulele, ho realizzato che devo fare un’altra cosa.
– Faccio senza ukulele.
Stefano mi si fa vicino:
– Ma sei sicura?
– Sicura.
E parto. Apro con un’invocazione. Non alle muse, ma alle persone. E funziona. Quelle assiepate nei primi 5 metri si siedono. Annuncio che sto per fare una sintesi dello spettacolo in diretta, che mi sostengano. Parte un applauso. E poi mi lancio.

Un’ora dopo incontrerò la mia amica Leni che mi racconta che poco prima di entrare nello stanza dove mi esibisco chiede che cosa stia accadendo lì.
– C’è un comizio.
E in effetti ho un po’ il piglio della sindacalista in piazza.
Di Il decoro illustrato viene fuori una sintesi futurista di circa mezz’ora, in cui alterno declamazione e canto da stadio. La versione di quella sera di Videosòpunk rimarrà a lungo, credo, nella mia memoria: a un certo punto – quando grido “Giorgia Meloni è grande, Giovanni Lindo
Ferretti è il suo profeta” – mi devo fermare perché mi scendono le lacrime.

Chi se ne fotte di Waterloo. Non sono Napoleone, né una generalessa: faccio la punkastorie. Raccanto le mie storie laddove ne ho la possibilità (ovvero all’incrocio fra eventualità e desiderio), con i mezzi a mia disposizione in quel momento, nella maniera il più ecologica possibile– cioè in un tentativo di accordo con l’ambiente e gli esseri che lo occupano.
Il decoro illustrato versione punk-Oi! mi pare abbia avuto la sua ragione d’essere. Io di sicuro mi sono divertita – e mi pare anche la gente intorno. Fortunatamente, tante volte, la vita scombina le nostre certezze.

Il testo che vi trovate fra le mani è quello che avrei portato in scena quella sera se davvero mi fossi esibita, come previsto, nella cornice del festival letterario Contrattacco! al Vag61. È un testo strutturato, ma non definitivo. Per ora, è organizzato come una tragedia in cinque atti, introdotto da un prologo, punteggiato da quattro cori e chiuso da un epilogo. Più avanti, potrebbe assumere tutt’altra forma.

E quindi, con tutte queste novità, il mio 2020 inizia con una ventina i giorni di anticipo. Auguro anche a voi tutte e tutti una buona fine e un buon principio. Ci si becca in giro.

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