A Murphy
ti ricordiamo, sibling, e lottiamo affinché non avvenga più
È il 14 marzo del 2024. Siamo nell’aula magna dell’ospedale Molinette, Torino. Il Centro interdipartimentale disturbi identità di genere (Cidigem) sta presentando il nuovo percorso diagnostico terapeutico assistenziale. C’è appena stato un intervento dal pubblico: una donna ha chiesto conto della somministrazione di bloccanti alle persone trans adolescenti e dei danni permanenti che, lei dice, possono causare. Noi ci agitiamo sulla sedia.
Ora, mi fa comodo supporre che tu sia fra quelle persone che di identità di genere e di esperienza trans non sa nulla. Provo a prenderti per mano e a raccontarti alcune cose. Quando senti parlare di “bloccanti” in Italia si intende una molecola, la triptorelina. Il farmaco può essere usato per mettere in pausa lo sviluppo sessuale delle giovani persone che si stanno interrogando sul loro genere e dare loro la possibilità di prendere tempo e decidere con più calma se intraprendere un percorso di affermazione di genere medicalmente assistito. Si ha piena efficacia solo con una somministrazione tempestiva, all’inizio della fase puberale. Se dividiamo, come ha fatto James Tanner, lo sviluppo sessuale in una scala da 1 a 5, deve essere somministrato entro la fase 2, dopo può funzionare solo come coadiuvante di una terapia ormonale già avviata. La letteratura scientifica dichiara che gli effetti della molecola sono completamente reversibili: all’interruzione della somministrazione lo sviluppo riprende. Tuttavia “i bloccanti ai bambini” è il nuovo punto d’attacco e leitmotiv delle associazioni transnegative di tutto il mondo, incluse quelle italiane. L’intervento della persona che ha appena preso parola ne conserva tutto il lessico e le idiosincrasie.
Ci consultiamo brevemente fra noi e in batteria chiediamo alla dottoressa che sta rispondendo alla domanda di uscire dall’ambiguità, perché il punto ci pare un altro:
– Quante persone in carico all’ambulatorio varianza di genere gestito dalla neuropsichiatria infantile prendono la triptorelina?
– Sei persone.
– Sei persone su quante?
– Sono circa il 20%.
Una piccola percentuale, come pensavamo. Ma ci guardiamo con smarrimento: potrebbe essere addirittura un po’ gonfiata, trenta in totale è una cifra inferiore alle nostre stime. Ma questa è un’altra delle storture che circondano la vita delle persone trans: ci sono poche statistiche serie che ci riguardano. Per giunta, da anni il Cidigem, a dispetto delle continue richieste di associazioni, collettivi, assemblee – inclusa la nostra, Sei trans*? – rifiuta di rendere noti i suoi numeri.
Accanto a noi c’è Cecilia Ruiz Lopez dell’associazione Genderlens che chiede:
– Quante persone fra queste sei hanno cominciato i bloccanti entro la fase Tanner 2?
– Una.
Assaporiamo la sgradevole sensazione di quando le tue più pessimistiche supposizioni sono confermate. Se prendiamo per buoni i dati che ci vengono comunicati ora, a voce, solo un trentesimo delle persone in carico al servizio prende qualcosa che blocca davvero. È una conferma del nostro lavoro di indagine dal basso: la somministrazione di triptorelina in funzione di bloccante della pubertà – contrariamente agli allarmi delle associazioni transnegative – non è poi così diffusa in Italia e nella nostra regione men che meno. Più tardi ci pentiremo di non aver posto un’ulteriore domanda, questa:
– Si tratta dello stesso farmaco che viene prescritto alle piccole persone cis il cui sviluppo sessuale viene giudicato troppo esuberante e/o precoce?
Perché sì, la triptorelina è un composto che nasce per le esigenze delle persone (o di una certa mentalità) cisgender. In realtà, in Italia, nessuno dei farmaci ormonali è studiato per le esigenze della popolazione transgender, sono tutti prescritti off label, fuori dalle indicazioni terapeutiche previste, testosterone ed estrogeni inclusi. Comunque il punto ora è un altro: qualsiasi medico di base può prescrivere i bloccanti a una piccola persona cisgender, o supposta tale, senza nessuna valutazione psicologica. Quando invece a richiederli è una persona che infrange le norme di genere ci vuole un’equipe medica (completa di bioeticista) che ne valuti l’assoluta necessità, soppesi ogni affermazione e indaghi la veridicità della sofferenza. In caso contrario ci si straccia le vesti, si denunciano transizioni forzate, si addita la presunta teoria gender. Continua a leggere