Fuori dal centro. Considerazioni e prossime date

Fin da bambina/bambino, da intolleranti culture
hai imparato la paura di sbagliare.
Esiste un centro “Non ti avventurare
Al di fuori di questo” c’è chi dice “Non ti avventurare”.
Spegni la luce, a domani che è tardi,
c’è chi vigila e controlla i tuoi passi
Ak47 – Spigoli di luce

A organizzare un pride in una grande città, anche in assenza dei tanto decantati patrocini, sono capaci, se non proprio tutt3, in tant3. Organizzarlo nelle periferie dell’impero ci vuole una dose decisamente maggiore di coraggio e intraprendenza. Il collettivo transfemminista Provincia.lotta ha mostrato di avercene e per il 25 giugno ha organizzato a Cirié (TO) la seconda edizione del Pride di provincia.
Nel corso della manifestazione Sei trans? ha letto un intervento in cui mi riconosco tantissimo e desidero segnalare per intero.

Siamo le persone di Sei Trans, un gruppo informale di persone trans e alleat che si vede e compie azioni nel capoluogo di questa regione.
La quasi totalità di noi però proviene dalle province. Qualcunx ancora ci vive.
Non siamo un’eccezione, una volta tanto costituiamo la regola: i coaguli di persone frocie infatti e gli stessi quartieri queer delle città – se li leggiamo attraverso la lente della provenienza geografica – si rivelano nient’altro che gruppi e zone con alta concentrazione di persone provinciali.
Arriviamo nelle città, nelle capitali dell’impero, per studiare, per lavorare, per sfuggire a controlli famigliari e sociali asfissianti, alla carenza e più spesso all’assenza di paradigmi diversi da quello binario, etero e cis e a modelli patriarcali, feroci e opprimenti esattamente come quello del neoliberalismo avanzato, e difficilmente affrontabili in solitudine.
Veniamo da luoghi in cui avviare e condurre percorsi di affermazione di genere è spesso impossibile, dove la sanità – a causa dei tagli e dell’accentramento delle struttura di cura – è, nel migliore dei casi, inefficiente, dove abortire è ancora più difficile che in città, dove occuparsi della propria salute sessuale e riproduttiva è impresa ardua.
Quei servizi essenziali che talvolta troviamo in città però non sono il frutto della benevolenza e dell’opulenza dello stato e del capitale, ma sono il frutto delle lotte.
Laddove le persone femministe sono maggiormente concentrate riescono ad attivare mobilitazioni e pressioni e a strappare brandelli di quella cura della nostra salute e dei nostri corpi che desideriamo e meritiamo di prenderci.
I poteri statali ed economici si comportano coi territori periferici come si comportano con le persone frocie. Il pendolo del loro interesse oscilla in continuazione fra il polo dell’abbandono, della cancellazione e dello sfruttamento e quello della colonizzazione e della messa a profitto.
Così come le persone frocie possono far comodo nel mese del pride per far cassa e accalappiare voti, così i territori diventano appetibili quando possono trasformarsi in mete turistiche, divertimentifici, ricettacoli di asfalto e cemento, al di là e spesso a dispetto dei desideri e dei bisogni di chi ci vive.
Non è la solidarietà che ci spinge a essere qui oggi, con Provincialotta, a questo pride periferico siamo parte dello stesso margine. Abbiamo anche noi quello sguardo obliquo e diffidente di chi viene da fuori, di chi ha messo in conto di migrare, di chi vive di pendolarismo. Sappiamo perfettamente cosa significa vivere lontano dalla possibilità di avviare percorsi di affermazione di genere; conosciamo l’estrema difficoltà di sperimentarci nei nostri corpi; abbiamo già vissuto lo stigma, l’esclusione e gli ostacoli posti a quelle relazioni che non sono previste nell’ordinamento eterocispatriarcale. Noi oggi siamo qui perché sappiamo che in questi margini che sono geografici e sono sociali, che corrispondono a luoghi fisici, a relazioni e a corpi c’è vita e ci sono soggettività e piccole comunità che resistono e lottano. Ne siamo parte e insieme sogniamo quella coalizione e quella capacità di fare rete che è la sola premessa al contrattacco.
Di questa marginalità facciamo tesoro e ci adoperiamo per farla diventare il segno di quel mondo altro che desideriamo.

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Guida turistica degli aldilà possibili

Non sono abbastanza filosofa per argomentare per bene, ma sono abbastanza punkettona per fottermene e fare lo stesso un po’ di filosofia dei bassifondi.
Mi pare che la nostra società abbia un grosso problema con la morte, cioè no, meglio: con l’impermanenza.

Aleggia puzzo di morte su la gran parte dei prodotti che maneggiamo: sanno di morte le materie plastiche di cui ci circondiamo; morte sbuffa dai motori a scoppio che usiamo per spostarci; di morte sanno le acque dei nostri mari cosparsi di cadaveri di persone migranti; di morte, per lo stesso motivo, prendono odore i valichi di montagna; se ti chini ad annusare l’odore dell’asfalto nuovo, sa di morte anche quello; i dispositivi a batteria che maneggi, sono wireless ma un invisibile filo di morte li collega alle cave da cui si estraggono le materie prime per produrli e, quando ce n’è il tempo, i corpi delle persone che li cavano; morte è un brand persino, come il made in Italy delle guerre disseminate sul globo; sarebbe troppo facile parlare della morte che trabocca negli allevamenti di animali non umani, ma è la stessa identica morte fisica, psichica, relazionale che dà forma ai luoghi di concentrazione e produzione per animali umani. E potrei continuare.
Tuttavia questo proliferare della morte non allarma e anzi è la garanzia del perdurare di un certo modo di fare le cose e di una certa classe sociale, economica e politica che di quell’agire e di quell’agito si nutre. Però ‘sta gente che non teme tutta questa morte, si caca sotto per l’impermanenza e si abbarbica alle posizioni che occupa, alle cose che possiede, a quelle che ruba, a quelle che brama, persino a quelle che deturpa.

Noi invece no. Noi amiamo cantare quella canzone là (ma non la seconda strofa, ché di Leonida non ce ne frega un cazzo), quella che dice che la casa e di chi l’abita, che la terra è di chi la lavora e che il tempo è di chi fa filosofia. Allora eccoci a vivere appieno il nostro tempo facendo filosofia da bassifondi. Quella morte che avvelena l’acqua, l’aria, la terra, gli esseri viventi e i loro legami ci disgusta. Siamo per la vita, una vita che è incontro, mutazione, relazione e che è, di necessità, impermanente. A un certo punto, lo sappiamo, ce ne andremo e, con filosofia, sappiamo che ci serviranno guide per esplorare tutti gli altrove che attraverseremo. La più completa di queste opere è la più recente uscita della rivista Čapek: Guida turistica degli aldilà possibili. Fino al 6 luglio è preordinabile qui.
Io sono piuttosto orgogliosa di rendere noto che la voce riguardante il Centro reincarnazioni l’ho compilata io ed è stata illustrata in maniera molto potente e pertinente da Croma. Colgo l’occasione per ringraziare ancora tanto Francesca kanzi che mi ha coinvolta e mi è stata accanto in questa avventura.
Ci vediamo di là. Al di là.

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Di piene e buche

Car& tuttx
una piccola panoramica sugli appuntamenti che SALTERANNO nei prossimi giorni.
Il 27 maggio dovevo esibirmi a Villa Mirella, Lugo (RA) e il 28 allo spazio Sole & Baleno, Cesena. Queste due date sono finite sotto il fango delle piene recenti. Un grandissimo abbraccio solidale allx compagnx che mi avevano invitata e alle popolazioni colpite da una calamità imputabile soprattutto al malterritorio (cfr questo articolo su Giap)
Il 25 maggio dovevo intervenire con Sale Sirigu al “Seminario Trans studies e riproduzione sociale” nell’ambito del “Laboratorio neoliberalismo e riproduzione sociale” del Corso di laurea in sociologia e ricerca sociale dell’Università di Bologna. Il giorno seguente in Vivaia, occupazione transfemminista bolognese, dovevo presentare “Senza titolo di viaggio” e esibirmi con “Mostre & Fiere”. Anche queste due date saltano. È un periodo molto difficile per me, sono molto provata, accolgo il consiglio delle persone che mi stanno intorno e mi metto in pausa.
(Prima o poi) torneremo a incontrarci per le strade

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Se chiude la punk la crapa campa

La crapa fa le bizze e chiede di affrontare questioni annose che hanno effetti destabilizzanti anche nella vita corrente. Il capitale intorno a noi si mangia la vita, le gioie, le possibilità. Fra le risoluzioni di salute che prendo ce n’è una di alleggerimento, commiato e festa.

Molo di Lilith, 3 agosto 2018. Foto di Max Mavi Viale

Giovedì 11 maggio, per l’ultima volta, andrà in scena La punk spiegata alla nonna. Ho deciso che per allora preparerò un piccolo documento cartaceo. Potreste chiamarlo pieghevole di sala, io preferisco definirlo fanzine. Fra le altre cose conterrà un testo che si conclude così: Continua a leggere

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Voce, ukulele e quel disagio che spero mi trasformi. Esibizioni, presentazioni, registrazioni, appunti

31 marzo 2023, Campi Bisenzio, Stabilmenti ex GKN. Filo (a sinistra) con Marte Manca e Francesca. Foto Livi Scarpellini

Primo
L’approdo finale – ammesso che abbia senso parlare di qualcosa di definitivo – non è la costruzione di un’identità working class. A un certo punto, di questa vecchia/nuova/rinnovata etichetta non ce ne facciamo un bel niente se il solo uso che ci viene in mente è appuntarcela al bavero. Ci serve invece nominarci per fare delle cose, uscire dalle prospettive corporativistiche e capire: chi è classe lavoratrice, cosa fa la classe lavoratrice, cos’è classe e cos’è lavoro. Ci serve guardarci, contarci, riconoscerci in qualcosa di più ampio e più potente di ciò che sta nelle narrazioni e figurazioni della classe padronale.
Ogni volta che ci troviamo insieme, poi, ci dobbiamo porre quegli interrogativi che ci dicono essere fuori dalla nostra portata. Produrre? Fornire servizi? Depredare materie prime? Estrarle? Raffinarle in prodotti? Colonizzare e devastare nuovi territori? Governare secondo nuovi algoritmi? Vendere? Distribuire? Come si fanno tutte queste cose? A beneficio di quali soggetti? A detrimento di cosa? In sofferenza di chi?
E ancora domande: in che relazione rimaniamo con le risorse, con gli esseri viventi, con gli animali non umani, con le persone che condividono la nostra stessa classe sociale, con chi ha ancora meno potere di noi, con chi detiene i mezzi di produzione, con lo stato?
Sono domande, credo, che abbiamo ancora bisogno di porci. Domande alle quali, per fortuna, non ho risposte individuali. So solo che, come tante altre persone, ho bisogno di parlarne. Nel frattempo, quello che continuo a fare nel mio piccolo è continuare a lavorare sugli immaginari: il contrasto ai “non c’è alternativa”, la critica a tutti washing (verdi, rosa, fuxia, arcobaleno), il pericolo della segmentazione, il dogma del progresso, l’inganno delle predestinazioni e dei destini, la gioia della molteplicità meritano l’impegno di tante intelligenze e sensibilità diverse.

Qui trovate quasi tutte le registrazioni degli incontri al Festival della letteratura working class organizzato dal Collettivo di fabbrica della GKN e dalla casa editrice Alegre. In mezzo c’è anche la mia voce, in dialogo con quella di Marte Manca.

Secondo
In questi giorni va in stampa Se vi va bene bene se no seghe, l’autobiografia politica di Valerio Minnella. In copertina, sotto il suo nome, accanto a quello di Wu Ming 1, che del progetto è principale promotore, c’è anche il mio. Nella postilla al volume mi sono definita una manovale della letteratura. Mi pare che sintetizzi efficacemente non solo ciò che ho fatto per questo libro, ma anche un’attitudine mia che si affianca a quella di cantastorie punk.
Qui molte anticipazioni sul contenuto. Uscirà nel mese di maggio per l’editore Alegre. Continua a leggere

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