Primo
L’approdo finale – ammesso che abbia senso parlare di qualcosa di definitivo – non è la costruzione di un’identità working class. A un certo punto, di questa vecchia/nuova/rinnovata etichetta non ce ne facciamo un bel niente se il solo uso che ci viene in mente è appuntarcela al bavero. Ci serve invece nominarci per fare delle cose, uscire dalle prospettive corporativistiche e capire: chi è classe lavoratrice, cosa fa la classe lavoratrice, cos’è classe e cos’è lavoro. Ci serve guardarci, contarci, riconoscerci in qualcosa di più ampio e più potente di ciò che sta nelle narrazioni e figurazioni della classe padronale.
Ogni volta che ci troviamo insieme, poi, ci dobbiamo porre quegli interrogativi che ci dicono essere fuori dalla nostra portata. Produrre? Fornire servizi? Depredare materie prime? Estrarle? Raffinarle in prodotti? Colonizzare e devastare nuovi territori? Governare secondo nuovi algoritmi? Vendere? Distribuire? Come si fanno tutte queste cose? A beneficio di quali soggetti? A detrimento di cosa? In sofferenza di chi?
E ancora domande: in che relazione rimaniamo con le risorse, con gli esseri viventi, con gli animali non umani, con le persone che condividono la nostra stessa classe sociale, con chi ha ancora meno potere di noi, con chi detiene i mezzi di produzione, con lo stato?
Sono domande, credo, che abbiamo ancora bisogno di porci. Domande alle quali, per fortuna, non ho risposte individuali. So solo che, come tante altre persone, ho bisogno di parlarne. Nel frattempo, quello che continuo a fare nel mio piccolo è continuare a lavorare sugli immaginari: il contrasto ai “non c’è alternativa”, la critica a tutti washing (verdi, rosa, fuxia, arcobaleno), il pericolo della segmentazione, il dogma del progresso, l’inganno delle predestinazioni e dei destini, la gioia della molteplicità meritano l’impegno di tante intelligenze e sensibilità diverse.
Qui trovate quasi tutte le registrazioni degli incontri al Festival della letteratura working class organizzato dal Collettivo di fabbrica della GKN e dalla casa editrice Alegre. In mezzo c’è anche la mia voce, in dialogo con quella di Marte Manca.
Secondo
In questi giorni va in stampa Se vi va bene bene se no seghe, l’autobiografia politica di Valerio Minnella. In copertina, sotto il suo nome, accanto a quello di Wu Ming 1, che del progetto è principale promotore, c’è anche il mio. Nella postilla al volume mi sono definita una manovale della letteratura. Mi pare che sintetizzi efficacemente non solo ciò che ho fatto per questo libro, ma anche un’attitudine mia che si affianca a quella di cantastorie punk.
Qui molte anticipazioni sul contenuto. Uscirà nel mese di maggio per l’editore Alegre. Continua a leggere