Camurrius3 (più un avviso per i prossimi mesi)

Venerdì scorso, il 1 settembre, sono intervenuta all’Umana² Festival, a Patti (ME). Ringrazio ancora tantissimo Gea Di Bella e Sirio che mi hanno accompagnata, sostenuta e hanno intrecciato le loro voci nel dialogo con chi ha organizzato la manifestazione. Meno di quarantotto ore prima di partire per la Sicilia ho sentito il bisogno di parole/azioni che premettessero la nostra presenza. Ho condensato questa esigenza in Camurrius3, una fanzine composta in una manciata di ore e con mezzi fortuna. Le persone di Umana² sono state così gentili da stamparla e renderla disponibile per chi era presente alla serata.
Voi invece trovate Camurrius3 qui, liberamente scaricabile.

Da sinistra Sirio, Filo, Gea a colloquio con Antonio (ultimo a destra) di Umana2

Questo il breve testo che la introduce:

L’ho scritto, detto, cantato, recitato alla nausea: la punk nasce sotto il segno dell’urgenza. Quando la necessità di raccontarsi, di urlare, di insorgere e innalzare la critica si fa pressante, si agisce veloci, si può quel che si fa e si fa il fuoco con la legna che si ha. Questa fanzine non era programmata, nasce sull’onda di un bisogno e si presenta come un collage di pezzi scritti e letti e cantati. L’assemblaggio mira ad attivare un campo di forze in cui appena possibile si articolerà un discorso. Per ora è quest’altra cosa: un camminamento irregolare di sassi mobili che forse ci permette di guadare acque impetuose.
Perché si chiama Camurrius3? In Sicilia si dice “camurriusa” una persona inutilmente pedante, che con sé reca assilli e scocciature. Nella stessa maniera in cui assumo su di me altre parole, mi sento di indossare anche questa: sono camurriusa e lo sono nella stessa accezione in cui Sara Ahmed si dichiara una femminista killjoy nel suo manifesto guastafeste. Però “camurria” (seccatura, scocciatura, fastidio) è una parola ben strana e mi ha costretta a chiedermi da dove giunga. Il Vocabolario Storico-Etimologico del Siciliano curato da Alberto Varvaro asserisce, sulla scorta di Mortillaro e altri linguisti, che il termine sia il corrispettivo siculo di “gonorrea”, che in effetti è una gran bella camurria. Allora possiamo assumere che camurriusa è anche una persona contagiata. Io sì, mi sento contagiata dallo stesso male patriarcale che liberamente prospera nel nostro mondo, ne sono affetta come te che leggi, ma non sono disposta a tollerare ancora questa  – chiamiamola così, con un eufemismo – seccatura. Me ne voglio liberare.
Ce ne vogliamo liberare. Sulla scorta della riflessione e della pratica femmista mi sento tranquilla nell’affermare che una delle modalità per liberarsi del patriarcato (eterocispatriarcato!) non è dissimile da quello con cui si contrastano le infezioni sessualmente trasmissibili: si nomina il problema, si fa informazione, si prendono precauzioni, ci si cura di sé e delle altre persone. Nel silenzio, nella vergogna, nell’occultamento dei reali rapporti l’infezione corre liberamente.

Due parole sui contenuti che trovate qui. Ci sono diversi frammenti di cose che ho scritto in precedenza  (alcune lievemente rielaborate) e citazioni da altre due autrici. Sara Ahmed (Manifesto guastafeste, tradotto da feminoska per lesbitches.wordpress.com e poi ripreso in coda a Vivere una vita femminista (ETS, 2021 con la traduzione di D’Epifanio, Gusmano, Naim, Granelli) e Kai Cheng Thom (Spero sceglieremo l’amore, traduzione di alcuni capitoli di I hope we choose love. A trans girl’s notes from the end of the world, edito nel 2019 da Arsenal Pulp Press, reperibile su anarcoqueer.noblogs.org e curata da un collettivo di persone trans, queer e lesbiche* contattabile alla mail: chooselove@distruzione.org) Avrei voluto metterci altre cose: schegge di La trama alternativa di Giusi Palomba (Minimum Fax, 2023), di Sorella outsider di Audre Lorde (Meltemi, 2023) di La volontà di cambiare (Il saggiatore, 2023) e Il femminismo è per tutt (Tamu, 2021) di bell hooks e poi Carla Lonzi, Silvia Federici, Angela Davis e poi e poi e poi. Ma questo non è un saggio, è solo un fragile camminamento per accompagnare e rendere più sicuro un passaggio. Con la lotta e l’intelligenza collettiva faremo sicuramente meglio.

Una precisazione: il testo di Kai Cheng Thom tratta di conflitto, violenza e giustizia all’interno delle comunità queer. Ma noi persone queer spesso frequentiamo anche altre comunità: collettivi, assemblee, gruppi di lavoro e di studio, movimenti. Situazioni altre, nelle quali siamo lx pochx sparutx froci3 nella stanza. Si tratta pur sempre di comunità e, al netto dei problemi che le affliggono (in parte diversi da quelli presenti nelle comunità queer) sento l’importanza e la responsabilità di prendercene cura per renderle più estese, accoglienti e radicali. Questa è la ragione che mi ha spinta a scegliere le riflessioni di Thom che potevano essere traghettate in un ambito più ampio di quello queer e affiancarle a quelle di Sarah Ahmed.

AAA

Avviso per chi mi sta chiedendo di fissare presentazioni, interventi e spettacoli.

Sono in fase di scrittura, sui dettagli di questo progetto mi aprirò in seguito. Per ora basti sapere che si tratta di uno spettacolo e che debutterà il 3 di dicembre a Bologna. Fino ad allora difficilmente potrò accettare impegni. Onorerò l’unica data già fissata – una replica di Mostre & Fiere il 12/10 a Roma – e forse, organizzerò qualche prova aperta che preceda la prima del nuovo show. Nel frattempo proseguono le presentazioni di Se vi va bene bene se no seghe. Qui il calendario, qui la rassegna stampa, qui l’intervento a Fahreneit del 31 agosto scorso (ascoltabile dal 79° minuto)

Ci becchiamo per le strade

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